America-Cina

2022-08-31 08:43:03 By : Ms. Suana xu

Ci sono figure che restano nella mente sotto decenni di polvere e clandestinità. Ayman al-Zawahiri è una di queste. Una faccia da 11 settembre, come il connazionale Mohammed Atta, l’ingeniere kamikaze. Dopo gli attacchi del 2001, quante volte abbiamo scritto e letto il suo nome: il medico di Bin Laden, l’ideologo di Al Qaeda. La notizia della sua uccisione, in una casa di Kabul, mi ha fatto pensare a Osama, a quando fu reso noto (verità o leggenda) che aveva appreso della caduta delle Torri Gemelle ascoltando la radio della Bbc in una casa (se non ricordo male) di Kandahar. Ecco, oggi cominciamo da lì, dall’Afghanistan dei talebani e da un personaggio entrato nella nostra memoria senza più uscirci. Prima di guardare al presente: la crisi di Taiwan, la guerra in Ucraina, l’ennesimo allarme clima (anzi estinzione). E poi l’intervista straordinaria a una madre che ha perso un figlio e ritrovato una figlia a Kharkiv. La storia di due ragazze che hanno denunciato il padre per l’assalto del 6 gennaio a Capitol Hill. E quella del padre di Elon Musk che gli preferisce il fratello. Buona lettura. La newsletter America-Cina ed è uno dei tre appuntamenti de «Il Punto» del Corriere della Sera. Potete registrarvi qui e scriverci all’indirizzo: americacina@corriere.it.

Cerebrale e sanguinario. Ideologo cavilloso e organizzatore pragmatico (da ultimo tradito dall’abitudine di stare al balcone). Ayman al-Zawahiri è stato uno degli uomini più pericolosi nel mondo per almeno vent’anni: tra l’inizio degli anni Novanta e la morte del suo boss e fraterno amico, Osama Bin Laden , ucciso il 2 maggio del 2011.

Ha contribuito in modo forse decisivo alla pianificazione del più tremendo attentato terroristico dell’epoca moderna: l’attacco alle Torri gemelle e al Pentagono dell’11 settembre 2001. Ed è stato lui a teorizzare la «guerra globale» all’Occidente . Prima a Israele e agli Stati Uniti. Poi a «tutti i nemici dell’Islam». Come scriveva in quello che è considerato il suo «manifesto» nel 1998: «Uccidere gli americani e i loro alleati, civili o militari che siano, è un dovere individuale per ogni musulmano, in qualunque Paese si trovi» (qui l’articolo completo).

Quando un capo jihadista viene «neutralizzato» non c’è mai una sola versione a narrare l’epilogo. Le versioni corrono veloci come il vento, mescolate a supposizioni, illazioni, teorie. Alcune fondate, altre complottiste. Fa parte del Grande Gioco.

Il drone che uccise un capo di al Qaeda in Afghanistan nel 2016

Per al Zawahiri siamo solo all’inizio e al centro del racconto c’è un drone della Cia , uno dei simboli della lotta al terrorismo a livello globale. L’intelligence ne ha fatto la sua arma principale. Era «il nuovo sceriffo in città» , come disse un alto dirigente per spiegare che era l’unico modo per poter eliminare ricercati in zone proibite agli agenti perché troppo lontane e pericolose. È un cecchino appostato che attende che la sua preda esca dal buco. In quel momento la colpisce con missili guidati, a volte «aiutati» da elementi sul terreno che possono illuminare il bersaglio. I droni sono basati in piste nelle aree di intervento e in quelle limitrofe. In questo caso è probabile che sia partito dal Golfo Persico vista il rifiuto di paesi della regione di ospitarli. Il decollo è eseguito da un centro di controllo locale, quindi una volta in quota i comandi passano ad un’altra centrale...(qui l’articolo completo).

Barak Obama era convinto già una dozzina d’anni fa che fosse possibile combattere una guerra, o almeno una prolungata guerriglia, utilizzando i droni risparmiando di mettere a rischio la vita dei soldati americani. Ci provò con fortune alterne, e tanti incidenti di «danni collaterali» che uccisero parecchi civili innocenti, nella campagna via remoto mirata ad eliminare i dirigenti di Al Qaeda e in generale della meteora jihadista arroccati nelle «zone tribali» pakistane. Nel 2011 non si fidò soltanto dei droni e mandò un commando di Navy Seals per eliminare Osama Bin Laden nascosto nella villona di Abbottabad. Adesso il blitz fortemente voluto da Joe Biden per assassinare Ayman al-Zawahri a Kabul torna a confermare la validità delle strategie militari sviluppate nel nuovo millennio, per cui la sfida via remoto del prossimo futuro sarà vinta dagli eserciti in possesso dei droni più sofisticati e in grado di volare più lontano.

Switchblade, i droni kamikaze usati in Ucraina

Strategie che si sono rivelate vincenti nella prima fase dell’aggressione russa contro il governo di Kiev, dove le agili pattuglie ucraine dotate dei droni turchi Bayraktar sono state in grado di fermare e metodicamente distruggere le colonne di tank obsoleti inviate da Putin. Oggi le associazioni di volontari ucraini continuano a raccogliere fondi qui e all’estero per acquistare droni di ogni tipo sul mercato da inviare alle unità in prima linea tra il Donbass e la regione di Kherson . Nella regione di Bakhmut poche settimane fa abbiamo incontrato un’unità che aveva accolto un gruppo di studenti delle facoltà di informatica e ingegneria a Kiev impegnati a sviluppare per conto loro nuovi modelli di droni utilizzando quelli comprati sul mercato europeo per poche migliaia di euro. «I russi fanno lo stesso. Le loro unità di droni sono condotte da esperti delle università di Mosca», dicevano, mostrando i loro teleschermi sui quali smanettavano come stessero partecipando ad un videogioco.

(Guido Olimpio ) Le mine navali , vecchie o moderne, possono rappresentare una minaccia alle rotte marittime in Mar Nero. Uno di questi ordigni è stato scoperto dalla Marina romena e neutralizzato. Si è ipotizzato in passato l’impiego di unità Nato (comprese quelle italiane) per creare un corridoio di sicurezza.

Mina neutralizzata dalla Marina romena

Washington prosegue negli aiuti bellici in favore di Kiev (ha raggiunto quota 8 miliardi di dollari ). Varato ieri un nuovo pacchetto: ci sono altri lanciarazzi Himars, ma soprattutto molte munizioni . Tra queste 75 mila proiettili per cannoni da 155 millimetri. La cadenza di tiro delle due artiglierie è molto alta, il consumo intenso. Nei Paesi occidentali si discute molto su quanto siano «profonde» le scorte. Episodio misterioso. Un’esplosione ha danneggiato un deposito di munizioni a Karnobat, Bulgaria. Lo ha denunciato il proprietario della compagnia Emilian Gebrev: l’uomo d’affari è stato al centro di un possibile avvelenamento nel 2015 mentre suoi impianti sarebbero stati il bersaglio di sabotaggi. Azioni che hanno sollevato sospetti su un possibile coinvolgimento dei servizi segreti russi . Operazioni clandestine per ostacolare le forniture di armi all’Ucraina.

«Xenia mi ha raccontato che quando ha sentito l’esplosione ha visto Dmytro cadere a terra . Non si muoveva più. Lei era disperata, ha cominciato a fermare le macchine per chiedere aiuto. Era piena di sangue, stordita. Ma voleva aiutare suo fratello che era immobile per terra. Mi ha detto che non sentiva dolore . Niente. Soltanto un rombo nelle orecchie. Uno sconosciuto si è fermato e le ha urlato di salire in macchina. Voleva portarla in ospedale perché l’ha vista che perdeva molto sangue, era stata colpita dalle schegge . Ma lei non voleva muoversi da lì, voleva aiutare Dmytro. Quell’uomo l’ha convinta a salire in macchina indicandole le persone vicino a lei: “Vedi? Lo stanno aiutando in tanti”, le ha detto, perché nel frattempo attorno a Dmytro c’era un sacco di gente. Dirò per sempre grazie a quell’uomo, perché è riuscita a convincerla a salire in macchina e le ha salvato la vita…».

Victoria racconta per la prima volta della mattina che ha cambiato per sempre la vita della sua famiglia. Ci dice quello che le ha raccontato sua figlia Xenia che, dopo due settimane di terapia intensiva, non è più in pericolo di vita. Kharkiv, 15 giorni fa . Un’esplosione vicino alla fermata dell’autobus, le schegge che volano ovunque e, quando torna il silenzio, il suo Dmytro per terra senza più vita . Aveva 13 anni Dmytro, era una promessa del ballo e faceva coppia con sua sorella Xenia, due anni più grande di lui. Il mondo ha visto la sua sagoma sotto un telo arancione . La sua mano fra le mani di suo padre Vyacheslav , in ginocchio a pregare e a piangere per ore. «La notte prima non ero stata molto bene e così quella mattina non sono riuscita ad alzarmi dal letto e andare a fare jogging assieme a loro», racconta Victoria. «Correre era il loro modo di rimanere allenati, nonostante la guerra . Ricordo che li ho svegliati presto. Mi hanno detto che sarebbero andati a correre allo stadio, erano le 8.30. Xenia dice che poi hanno deciso di non andare più verso lo stadio ma di fare una corsa in circolo attorno ai caseggiati vicino casa nostra. A un certo punto io e Vyacheslav, che era a casa con me, abbiamo sentito un’esplosione . Abbiamo cominciato a chiamare i ragazzi ma non rispondevano. Allora lui è uscito ed è andato allo stadio. Mentre lui li cercava lì, ha chiamato la polizia dal cellulare di Dmytro». La voce di uno sconosciuto ha chiesto a Victoria: «È di suo figlio questo numero?» . Non ci è voluto molto a capire che cosa fosse successo. Vyacheslav si è precipitato davanti alla stazione dell’autobus bombardata. Dmytro e Xenia stavano correndo proprio lì di fronte, quando tutto è scoppiato . Lui ha visto il suo ragazzo per terra, si è inginocchiato, ha pregato e pregato e pregato. La gente si avvicinava per provare a consolarlo ma nessuno ha osato interrompere le sue preghiere, né staccarlo dalla mano senza più vita di Dmytro. Per ore. «Non riuscivamo a trovare Xenia» , racconta ancora Victoria. «Non sapevamo dove fosse finita e per più di un’ora l’abbiamo cercata invano. Poi ci ha chiamato di nuovo la polizia: c’è una ragazzina in sala operatoria, forse è vostra figlia, ci hanno detto. Ci hanno descritto i suoi vestiti… sono corsa in ospedale». Se quell’uomo non avesse insistito a farla salire in macchina , sarebbe certamente morta anche lei: questo hanno detto i medici a Victoria quando hanno finito con la prima operazione (ne ha subite diverse, in questi 15 giorni). «Le schegge l’avevano colpita in più punti» , dice sua madre. «Aveva ferite ovunque, specialmente in testa e sulle spalle, ai polmoni… è stata necessaria una trasfusione di sangue, non è stato possibile rimuovere tutte le schegge con il primo intervento. Adesso sta finalmente meglio e due giorni fa le abbiamo detto che il suo adorato Dmytro non c’è più . Ha pianto molto. Lei era un esempio per suo fratello, si volevano molto bene. Ballare piaceva a tutti e due, si allenavano assieme, erano molto legati l’una all’altro». Victoria è una professionista degli scacchi , ha vinto competizioni nazionali e internazionali. Adesso guarda la scacchiera e le sembra che nessuna mossa abbia più senso. «Non so nemmeno che cosa dire», cambia tono di voce. «Non so trovare le parole giuste per una tragedia come questa. Le nostre vite sono state interrotte, i nostri cuori spezzati». Sa bene che la fotografia di suo marito, con le mani strette alla mano di Dmytro sotto il telo, hanno fatto il giro del mondo. «Lui è una persona molto chiusa”, ci dice. “Per lui perdere suo figlio è un dolore che non so nemmeno come descrivervi. Dmytro era suo figlio, il suo amico, il suo aiutante… tutto. Xenia adesso è la nostra ragione di vita. Non so cosa ci sarebbe successo se avessimo perso entrambi». Un’ultima cosa. «Vorremmo andare via da Kharkiv» . Victoria lo dice e sospira. «Siamo sempre rimasti qui ma adesso… appena sarà possibile cercheremo di raggiungere la sorella di mio marito, in Germania».

La temperatura politica e militare nello Stretto di Taiwan sale di minuto in minuto. La visita a Taipei, ormai data per certa tra stasera e domani, della speaker della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti, Nancy Pelosi , e la reazione di Pechino stanno portando le relazioni tra Usa e Cina a un livello di tensione che non si registrava da decenni.

La base aerea di Sungshan, a Taipei, dove atterrano gli ospiti stranieri

Pericoloso nell’immediato: politici e militari cinesi sostengono da giorni che risponderanno non solo a parole ma con atti concreti. Stamattina, caccia della Repubblica Popolare si sono già avvicinati alla linea mediana dello Stretto che separa la costa di Taiwan da quella della Cina; e alcune unità dell’Esercito di Liberazione Popolare, parte del Comando del Teatro Sud, sono state messe in stato di allerta da Pechino. Ed è pericoloso sui tempi lunghi : la sfiducia reciproca di gran parte dei politici americani e dei dirigenti del Partito Comunista Cinese, Xi Jinping in testa, era già alta e ora potrebbe prendere la forma di un confronto politico, diplomatico e di schieramento militare capace di accelerare la creazione di blocchi contrapposti tra Est e Ovest. È una situazione alla quale si è arrivati attraverso voglia di sopraffazione, cattiva capacità di giudizio , errori di comunicazione. Di base, è evidente che Pelosi può andare dove vuole senza chiedere il permesso a Pechino. Visitare Taipei è un suo diritto. La reazione cinese , durissima come non era mai stata in precedenza, è segno dell’intransigenza di Xi , il quale ha fatto del portare Taiwan sotto il controllo della madrepatria uno degli obiettivi più rilevanti del suo mandato ormai decennale e destinato a continuare. La pratica di coercizione che Pechino adotta regolarmente con altri Paesi su questioni politiche arriva ora a interessare la superpotenza americana. Un passo non leggero. Nancy Pelosi ha probabilmente commesso una leggerezza nello scegliere questo momento per organizzare il viaggio. Per Xi sarebbe umiliante accettare senza reagire che la terza carica istituzionale degli Stati Uniti tenesse incontri ufficiali in terra taiwanese. La situazione internazionale è già tesissima. In più, il leader cinese affronterà a ottobre un congresso del Partito che deve rinnovargli il mandato per la terza volta (mai successo dagli Anni Ottanta): non può permettersi di arrivarci con uno smacco sulle spalle , proprio su una questione che egli stesso ha messo in testa alle priorità della sua politica. Molti commentatori stanno criticando la speaker per i tempi e i modi con i quali si è mossa. La fuga di notizie sul viaggio di Pelosi, due settimane fa, non ha migliorato la situazione e ha messo in allarme l’establishment cinese, il quale ha avuto tempo per preparare una risposta, per mobilitare i suoi media e per fare pressioni su Joe Biden, anche attraverso minacce, affinché fermasse il viaggio (cosa che il presidente americano non può fare). Lo stesso Biden si è messo in una posizione di debolezza quando ha detto in pubblico che i militari americani sconsigliavano il viaggio di Pelosi a Taiwan. Così facendo ha di fatto avallato la reazione cinese che ritiene la visita della speaker una provocazione. Ed è sembrato cedere di fronte all’arroganza di Pechino. La crisi in atto nello Stretto di Taiwan peserà a lungo sui rapporti tra Stati Uniti e Cina, dunque anche sul resto del mondo .

(Guido Olimpio ) Brooklyn, New York . Un uomo armato di Kalashnikov è stato arrestato vicino all’abitazione della giornalista iraniana Masih Alinejad . L’oppositrice è piuttosto nota per le sue critiche contro il regime dei mullah e, in passato, è stato sventato un suo possibile sequestro. L’obiettivo era riportarla in patria. Al momento non è chiaro quali fossero le intenzioni dell’individuo fermato e se vi sia un legame con la reporter. Teheran, invece, continua a rilanciare annunci sulla cattura di «spie».

Una cellula di curdi è stata neutralizzata nella regione di Isfahan e, secondo la versione delle autorità, era al servizio degli israeliani, pronta a condurre sabotaggi. Fermati, in seguito, anche esponenti della minoranza religiosa Bahai . Quasi negli stessi giorni è stato bloccato un cittadino svedese , l’accusa è sempre di spionaggio. Possibile che si tratti di un altro ostaggio finito nelle mani degli ayatollah, una pedina da scambiare con un iraniano detenuto in Svezia coinvolto nella repressione degli anni ’80, con migliaia di dissidenti eliminati. Una lunga serie di sabotaggi, omicidi mirati di alti ufficiali e incidenti misteriosi hanno messo in imbarazzo i servizi di sicurezza e creato contrasti a livello politico. Molti sono convinti che Israele è in grado di colpire grazie a complicità interne .

«Quello che quest’uomo ha fatto è l’antitesi del patriottismo . Non solo lui e i suoi compagni non sono dei patrioti, ma sono una minaccia diretta per la nostra democrazia». Con queste parole una giudice del District of Columbia ha emesso quella che finora è la condanna più dura per i fatti del 6 gennaio 2021: sette anni di carcere .

Le figlie che hanno denunciato Guy Refitt

Il colpevole è Guy Refitt, texano di 49 anni , che il giorno dell’assalto a Capitol Hill si era prima filmato durante il comizio di Donald Trump, poi si era diretto verso il Campidoglio armato di pistola , manette di plastica, giubbotto antiproiettile ed elmetto militare . Per questo l’accusa aveva chiesto una condanna a 15 anni che lo considerasse un vero e proprio terrorista; anche perché il condannato aveva portato con sé anche un fucile semiautomatico, che per fortuna è rimasto nel bagagliaio della sua auto. Ma le sue intenzioni erano chiare: nei video girati quel giorno diceva di voler «attaccare fisicamente, rimuovere e poi sostituire i membri del Congresso» e di voler «trascinare fuori dal Campidoglio Mitch McConnell (allora leader della maggioranza repubblicana al Senato) e Nancy Pelosi», assicurandosi che «la sua testa sbatta su ognuno dei gradini» . Refitt è stato portato a processo anche per aver minacciato i propri figli . Sono stati proprio loro a denunciarlo all’Fbi — alla figlia di 16 anni disse: «Se mi denunciate siete traditori, e ai traditori si spara» — e a raccontare come un manager che lavorava su piattaforme petrolifere offshore si sia trasformato in un «soldato» dell’ex presidente. Dopo avere perduto il lavoro nel novembre del 2019, «la salute mentale di nostro padre ha iniziato a vacillare: è caduto nel vortice della politica sul web e si è polarizzato sempre di più verso le posizioni di Donald Trump». La sua lotta non poteva fermarsi ai siti e ai social: Refitt iniziò a reclutare gente per il movimento di estrema destra «Three percenters», non prima di aver dato vita a un’impresa di sicurezza «per aggirare le leggi sulla restrizione del possesso di armi» . Dalla cella, Refitt si è definito «un martire» , ma nel frattempo è giunto a una decisione: «Non avrò mai più a che fare con la politica». In fondo, ha ammesso lui stesso, «nel 2020 la mia mente era poco lucida. Ero un po’ pazzo». Una «pazzia» che gli è costata sette anni di carcere.

(Samuele Finetti ) Essere un imprenditore visionario e possedere un patrimonio da 270 miliardi dollari è sufficiente per rendere fieri il proprio padre? A quanto pare no, se ti chiami Elon Musk. Parola di Errol, 76 anni, che in una intervista a una radio australiana ha ridimensionato il successo del suo primogenito: «Ne vado fiero? No. La nostra famiglia fa molte cose da parecchio tempo, lui non è di certo il primo ».

Kimbal Musk, 49 anni, due meno del fratello Elon

Per rincarare la dose , Errol ha pure aggiunto: «Dopo aver visto le sue foto in costume, gli ho suggerito di fare qualcosa per dimagrire ». E ha candidamente ammesso di non aver mai guidato né posseduto una Tesla , cui continua a preferire i cari vecchi motori a scoppio (in particolare Bentley e Rolls Royce) . Così come a Elon preferisce il fratello minore Kimbal: «Lui è l’orgoglio e la gioia della mia vita ». Chi è Kimbal Musk? Quarantanove anni, cappello da cowboy sempre sul capo e casa in Colorado, l’orgoglio di papà Musk gestisce tre catene di ristoranti a km zero negli Stati Uniti, ha fondato diverse startup – di agricoltura urbana e di carne confezionata in laboratorio – e guida una ong che costruisce orti nelle scuole del Paese e forma gli studenti su nutrizione e salute. Insomma, anche il fratello minore dell’uomo più ricco del mondo si è dato da fare: il suo patrimonio è stimato in 700 milioni di dollari. Dovuti però, in gran parte, allo 0,04% di quote di Tesla che Elon gli ha garantito.

«Fine del gioco». Un team di scienziati di Cambridge sostiene che non si può escludere un collasso della società umana o addirittura la fine del genere umano e che sono necessari studi più approfonditi sugli scenari catastrofici del cambiamento climatico. Le conseguenze dirette che potrebbero portare all’apocalisse sono sostanzialmente quattro. Carestia, eventi climatici estremi, guerre, malattie .

Simulando scenari con un aumento di 3 gradi centigradi, i ricercatori stimano che le ondate di calore colpiranno due miliardi di persone entro il 2070 , in particolare nelle aree politicamente fragili e più densamente popolate. Un futuro di grande instabilità ambientale e sociale, che a sua volta potrebbe portare a una competizione feroce per le risorse vitali.

Grazie. A domani. Cuntrastamu. Michele Farina